A volte davvero solo un linea molto sottile sembra separare la realtà della cronaca quotidiana dai plot di chi scrive per il cinema o per la fiction. E a volte sembra davvero impossibile che uno sceneggiatore armato solo della propria sensibilità possa tratteggiare, pescando nella propria fantasia, i caratteri dei personaggi che dal buio della provincia più remota o dalle pieghe della vita metropolitana arrivano a popolare gli schermi televisivi.
Per questo, fin dagli esordi di Raitre, la “tv del dolore” è stata una miniera di spunti difficilmente sostituibile per chi fa il lavoro di scrivere per immagini. E in particolare “Chi l’ha visto?” – per il profilo delle sue storie, la qualità del lavoro autorale che lo anima e degli inviati-registi che danno voce al dramma degli scomparsi – si è trasformato nel corso di oltre venti anni in un appuntamento imperdibile per sceneggiatori e gente di cinema. A maggior ragioneda quando un numero crescente di casi apparentemente fuori della portata degli investigatori ha trovato soluzione davanti alle telecamere del programma – come accadde con la confessione di Stefano Caretta – o sulla base della costanza della trasmissione nell’offrire una sponda a familiari instancabili nella ricerca della verità, dai fratelli di Emanuela Orlandi ai genitori di Lidia Macchi o di Angela Celentano.