Non amava la luce, mangiava solo cibi di colore bianco, nella sua collezione hanno trovato 84 fazzoletti da naso identici e almeno 100 ombrelli tutti uguali, e nella sua originalissima ricerca spirituale fondò l'
"Église Métropolitaine d'Art de Jésus-Conducteur" (della quale ovviamente fu l'unico adepto...).
Leggendo la biografia di
Erik Satie si rischia davvero di perdersi dietro alle sue stranezze, e si capisce bene perché la più frequente definizione del musicista è
eccentrico, la qual cosa non gli sarebbe nemmeno dispiaciuta, data la sua passione per tutto quanto potesse apparire stravagante, come testimonia la sua invenzione di una nuova categoria di strumenti musicali, i
cefalophoni, (che solo a provare a suonarli rischiavi di finire male, come avvenne nel 1875 ad un amatore che volle provare a maneggiare il
Siphone in DO).
Lasciando quindi a ciascuno l'opzione di curiosare su Satie secondo il proprio interesse, concentriamo la nostra attenzione sulle proposte musicali di oggi, che si rivelano quanto mai significative.
Nato nel 1866, Satie compie i suoi studi musicali tradizionali di organo, armonia, pianoforte, composizione, musica corale e contrappunto, ma il suo interesse è suscitato anche da altri orizzonti sonori (ad esempio la musica popolare indonesiana, apparsa al mondo occidentale nella I Esposizione Universale del 1889); nel clima musicale arroventato d'inizio secolo, Satie rifiuta recisamente sia il dilagante wagnerismo che ogni altra forma di cultura accademica, combattendo con spirito di crociato.
La sua scelta è quella di una dilagante libertà, in cui spunti cabarettistici si affiancano a reminescenze gregoriane; Satie verrà variamente considerato dai contemporanei, che o lo odiano - come molti - o lo amano, come, in un primo tempo, Debussy (che lo definisce
"un musicista medievale e dolce, smarritosi nel nostro secolo") o Stravinsky:
"Mi piacque sin dal primo istante. Era un becco fino, pieno di astuzia e intelligentemente cattivo".
Se molte tra le sue composizioni (tra cui le celebri ed abusate
Trois Gymnopédies) sono destinate al pianoforte, l'opera che pone Satie violentemente alla ribalta è
Parade, che apre la nostra trasmissione; in questo balletto di ambientazione circense sono riuniti alcuni dei più illustri artisti del tempo: libretto di Jean Cocteau, coreografie di Léonide Massine, scene e costumi di Pablo Ricasso, esecuzione ad opera dei Ballets Russes de Diaghilev, sotto la direzione di Ernest Ansermet, con un programma di sala redatto da Guillaume Apollinaire.
L'esordio avvenne a Parigi nel 1917 e suscitò un vero scandalo (che costò a Satie otto giorni di prigione), dovuto in parte all'uso di sonorità non ortodosse: sirene di fabbrica, macchine da scrivere, pistole... il pubblico francese prese come un oltraggio alla tradizione e al bon ton musicale quello che si sarebbe poi rivelato come il profumo del futuro; in Parade, forse per la prima volta, si realizza con impressionante evidenza la fusione tra le arti, tanto auspicata e celebrata, e compaiono modalità ed elementi sonori
altri dalla tradizione, che scriveranno la storia della musica negli anni a seguire.
La
Messe des Pauvres per coro e organo, non ha nulla della struttura canonica del Proprium Missae, se non il Kyrie iniziale; contrariamente alla tradizione l'organo è protagonista rispetto alle voci in questa visione mistico-goticheggiante dedicata alla povertà (ben nota a Satie); ultimo ascolto il dramma sinfonico
Socrate, per voci e piccola orchestra, basato sui dialoghi socratici; a quest'opera faranno riferimento istanze stravinskiane, e sarà molto apprezzata dalle avanguardie:
"Non si tratta di sapere se Satie è valido. Egli è indispensabile", parola di John Cage (che trascriverà il Socrate per due pianoforti nel '44).