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04/07/2012

Il “sogno sovietico” degli Americani in Carelia 

La tragica scelta di gente che si trovò due volte nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una pagina di storia che ancora oggi pochi conoscono


Il “sogno sovietico” degli Americani in Carelia
 
La tragica scelta di gente che si trovò due volte nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Una breve pagina di storia che ancora oggi pochi conoscono

 

di Elena Fomina, Strana.ru 27 giugno 2012 (con fotogallery)



"Carissima sorella!

Ti scrivo dalla nave che ci porterà nella Carelia Sovietica. Come ben sai, il capitalismo in tutto il mondo vive un momento di difficoltà, o, per dirla con altre parole, il sistema capitalistico mondiale è nel caos. Ma c’è un paese straordinario, l'Unione Sovietica, dove il lavoro c'è. E’ per questo che siamo partiti. Stiamo bene e il bel tempo rende piacevole il viaggio per mare. Ti scriverò di nuovo appena giunti a destinazione". Così scriveva il 27 giugno 1931 David Myukkanen a bordo della nave “Drottningholm”.

Tra il 1930 e il 1935 quasi 7000 finlandesi emigrati in Canada e negli Stati Uniti tornarono con mogli e figli in Unione Sovietica, dopo aver venduto tutto ciò che avevano, case e automobili, per comprare in dollari sonanti attrezzature e macchinari da portare nel giovane paese che li avrebbe accolti. Li aspettava, credevano, una nuova vita. Una seconda nuova vita, dopo che l’ “american dream” si era infranto contro la crisi del ‘29.

La storiografia moderna chiamerà il fenomeno "Febbre della Carelia", una parentesi nella storia della Russia moderna e del mondo, che rimane tragicamente sconosciuta.

Il sogno americano -
I primi immigrati finlandesi arrivarono in Canada e negli Stati Uniti prima del 1900: muratori, minatori, boscaioli - 'pionieri', per usare una parola che facilmente identifica un periodo preciso della storia americana. Finirono col lavorare in miniere pericolose, cercarono l'oro, tagliarono boschi, si arrangiarono a vivere isolati in posti sperduti, ma ce la facevano a tirare avanti nonostante l’immane fatica. E nonostante tutto ciò scrivevano a casa, per incoraggiare parenti e amici a venire nel Nuovo Mondo.

I racconti di un paese lontano, dove c'era molto lavoro e niente guerra, invogliavano la gente a partire, e il periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale conobbe un flusso continuo di finlandesi che abbandonavano il Regno di Finlandia, che sembrava non offrire altro per il futuro che disoccupazione, povertà e incertezza politica... Quel fiume umano continuò anche dopo la fine della Guerra, dopo la Rivoluzione (russa) e dopo la dichiarazione di indipendenza del 6 dicembre 1917, tanto che le autorità americane si videro costrette a porre dei limiti all'immigrazione finlandese, che si spostò allora verso il Canada. Per chi arrivava dall’Europa, la differenza era poca: la vita sarebbe stata comunque difficile, scandita dal solito tran tran fatto di lavoro, famiglia, lavoro, niente di nuovo per chi arrivava dall'ex Impero Russo e si trovava a dover ricominciare tutto da capo.

Ma poi … democrazia, valori del capitalismo e "sogno americano" andarono a infrangersi contro il crac del ‘29, quando il mondo fu travolto dalla Grande Depressione. Decine di migliaia di immigrati finlandesi che non erano ancora riusciti a trovare stabilità e benessere videro peggiorare velocemente la loro condizione. Da 'vulnerabili' si trovarono a essere di nuovo 'senza speranza'. Non avevano nemmeno fatto in tempo a imparare bene l'inglese, lingua molto diversa e lontana dal finlandese che parlavano in famiglia
Cominciò a serpeggiare il pensiero che la traversata dell’Oceano era stata solo un grande errore, perché sempre più spesso si sentiva dire che laggiù, nella terra che avevano lasciato, il nuovo potere sovietico stava costruendo nientemeno che il Paradiso, con lavoro e cibo per i figli, e cioè tutto ciò che si potesse mai desiderare, lì a portata di mano, nella familiare e natia terra di Carelia.

Il sogno sovietico -
La mattina del 6 giugno 1931, partiva da New York  la "Drottningholm", una nave di una compagnia svedese. Le donne piangevano e gli uomini mostravano il pugno alla Statua della Libertà, perché finalmente se ne andavano laggiù dove c'era la libertà-quella-vera, in Unione Sovietica. Qualcuno intonava "Alas lyökää koko vanha maailma, ja valta teidän silloin on!...", l'Internazionale, in finlandese.

"Mio padre, Yuko Aksel Alatalo, era nato nel 1892 in una povera famiglia di contadini nella Lapponia finlandese. I due anni che era andato a scuola erano tutta l'istruzione che possedeva. Il resto glielo aveva insegnato la vita..." così scriveva Pavel (Paavo) Ivanovic' Alatalo, di Petrosavodsk, quando, alla vigilia dei 90 anni, aveva iniziato a mettere insieme le sue memorie in finlandese, la lingua della sua infanzia. "Ripensare al passato e a quelle sofferenze, mi fa male, mi toglie la pace..."
Il padre di Pavel Ivanovich era emigrato in America nel 1916. C'era la Prima Guerra Mondiale, e mentre in tutta la Finlandia si sceglieva la "carne da cannone" da mandare al fronte, Yuko decise col fratello Erkki di fuggire in Svezia, per poi partire per l'America.
"Quando sfoglio il libretto stropicciato sul quale mio padre annotava la sua vita, miracolosamente  sopravvissuto a 80 anni di storia e testimone di molte avventure, da quegli appunti vedo emergere il ritratto di un giovanotto pieno di speranze. Su quelle pagine ritrovo i suoi primi tempi in America, i suoi spostamenti da uno stato all’altro fino a Detroit, i posti dove ha lavorato magari solo qualche giorno, o settimana, o mese…".

Durante uno dei suoi spostamenti Yuko aveva incontrato Tecla Sofija, anche lei immigrata dalla Finlandia, e l’aveva sposata nel 1919. L'anno successivo, a Warren, Ohio, era nato Paavo.
"Mio padre lavorava in fabbrica, d'inverno nel reparto laminati. Un lavoro duro, che gli permetteva di andare avanti. D'estate cambiava, perché non sopportava il caldo estremo di quel reparto. Per lavoro si era spostato anche a Cleveland, dove dal lunedì al venerdì dormiva in una "casa per scapoli" e il fine settimana tornava a casa a Warren, quasi 50 miglia in macchina. Mia madre faceva la domestica alcuni giorni a settimana, per tre dollari al giorno. Per i primi del 1920 mio padre era riuscito a costruirsi una casa (per quanto mi ricordi, fatta di un soggiorno, due camere, cucina e cantina, e con riscaldamento centrale, acqua corrente ed elettricità). Quando siamo ripartiti per l'Unione Sovietica, la casa rimase in custodia presso un nostro buon conoscente, John Markkanen, che l'ha venduta dopo la guerra. A casa si parlava solo finlandese, i miei conoscevano solo quel po’ di inglese che serviva loro per cavarsela sul lavoro... Tutti e due i miei genitori facevano parte del movimento operaio comunista e frequentavano attivamente un'organizzazione (Haali). A un certo punto arrivarono a Warren degli attivisti, che raccontavano che in Unione Sovietica si stava mettendo in piedi lo stato della classe operaia, libero dall’oppressione borghese, che di lì a poco avrebbe dato vita alla società ideale dei lavoratori.

Oggi non me la sento di accusarli di aver mentito, d’altra parte anche loro erano accecati dall'ideologia... I miei non mi permettevano nemmeno di andare al cinema, perché secondo loro nei film americani veniva propagandata la visione del mondo borghese. Per dare un'idea di quale fosse l'atmosfera che si respirava a casa nostra, vi racconterò solo questo episodio: una volta, tra ragazzi, si discuteva se Dio esiste o no; e io ringhiai: "Dio non esiste. Lenin è Dio". L'organizzazione che frequentavano i miei faceva di tutto per convincere gli operai con qualche specializzazione a tornare in Unione Sovietica. Partirono così diverse decine di famiglie e anche noi iniziammo a fare i bagagli. Da Warren partirono tre gruppi familiari, i Kinnunen, i Ranta e noi, con un bel po’ di bauli, casse, letti e posate d’oro, che sarebbero servite per far fronte alle necessità di tutti per i successivi 3-5 anni, fino a quando, cioè, la condizione economica in URSS non sarebbe migliorata” 

Due rubli, un dollaro -
"Nel 1920, il "Finlandese Rosso" Edvard Gylling, leader della Carelia sovietica, cominciò a richiamare nella neonata repubblica gli emigrati finlandesi.

“Nasceva l'idea di un’autonomia nazionale carelo-finnica" racconta Irina Takala, docente di storia dei Paesi del Nord Europa all'Università di Petrozavodsk. "Sul territorio della repubblica apparvero i primi americani di origine finlandese (….) Nel 1930 in Canada e negli Stati Uniti si contavano più di 360 mila immigrati finlandesi, molti dei quali erano già o diventarono comunisti durante la Grande Depressione. Il Canada, che ci rimane difficile immaginare capace di comportamenti inumani, negli anni della crisi mondiale si comportò eccezionalmente male: umiliazioni, discriminazioni, deportazioni forzate, e via dicendo. Tra i finlandesi immigrati nel Nord America spuntarono leader comunisti molto attivi, i migliori dei quali avrebbero, secondo la leadership della Carelia sovietica, costituito parte della “spina dorsale” dei quadri nazionali proletari della repubblica”.
Mentre in America e Canada i finlandesi erano diventati un peso, per l’Unione Sovietica rappresentavano quella manodopera specializzata, della quale tanto bisogno aveva la Carelia sovietica, povera e scarsamente popolata. Nell'autunno del 1930 arrivò dal Canada il primo contingente di tagliaboschi; dopodiché il potere centrale moscovita approvò l’immigrazione di massa di operai specializzati finlandesi dal Nord America. Gylling ne aveva discusso con Stalin e Molotov in persona.

Nel maggio del '31 si insediò a New York il Comitato di Sostegno Tecnico della Carelia Sovietica, diretto da Matti Tekhnunen, con il compito di acquistare macchinari e attrezzature e reclutare su larga scala finlandesi da trapiantare nella Carelia sovietica. I fondi arrivavano principalmente da contributi volontari e donazioni dei cittadini statunitensi, e dalle commissioni pagate dalle compagnie di navigazione che portavano i migranti oltreoceano (11 dollari e 50 centesimi per gli adulti, 5,75 per i bambini). La principale fonte di finanziamento restava però il cosiddetto "fondo macchinari": l'emigrante consegnava la valuta e otteneva una ricevuta dal capo comitato, grazie alla quale in Unione Sovietica avrebbe ricevuto dei rubli (al tasso di cambio aureo di 2 rubli per un dollaro). Il Comitato aveva filiali anche in Canada.

Con i fondi dei finlandesi in Nord America, in quegli anni furono acquistate attrezzature del valore di oltre 500.000 dollari (un milione di rubli al cambio aureo). Attrezzature acquistate e trasportate in Carelia (a proprie spese) dagli stessi emigranti...

Spitchki
, cerini -
Dalle memorie di Paavo Alatalo: "La nostra nave, la "Gripsholm", lasciò New York il 31 maggio 1931; da Goteborg a Stoccolma andammo in treno e di nuovo in nave fino a Leningrado. Il primo impatto con la città fu gelido. Mi ricordo il vetturino solitario che frustava il suo ronzino per trascinare il suo carretto al fiume. Ci portarono in un edificio di legno a due piani, che doveva essere un “albergo".

La prima parola che ho sentito in russo è stata “spitchki”, "cerini". Kusti Ranta era un fumatore, e aveva finito i cerini. Dovevamo andarli a comprare. Ci facemmo capire a gesti e senza volerlo imparammo la prima parola in russo, "spitchki", cerini.
Da Leningrado arrivammo in treno a Petrozavodsk; era la metà di giugno. Le tre famiglie Kunninen, Ranta e Alalatalo furono sistemate in una baracca in un'unica stanza comune, dove giravano cimici e scarafaggi, che vedevo per la prima volta in vita mia. Per ritagliarci un po’ di intimità avevamo creato dei tramezzi con le coperte; era estate piena, c'erano le notti bianche. La notte di San Giovanni quell’anno bruciai il mio primo falò tradizionale…”

"I neo immigrati firmavano un contratto per due anni", ci racconta Irina Takala. “Ma pochi tornavano in America, perché la maggior parte non aveva più un posto dove andare, dato che prima di partire aveva venduto tutto e chiuso i conti in banca. Nel 1932 arrivarono in Carelia anche i leader dei vari Comitati d’Oltreoceano”.
Tra i re-immigrati i comunisti erano meno del 15%: d’altra parte si trattava di gente che aveva deciso di attraversare un’altra volta mezzo mondo non alla ricerca di un'ideologia, ma di una vita migliore. I "finlandesi americani" erano mossi in realtà solo dalla possibilità di un lavoro onesto e, neanche a dirlo, dalla nostalgia di una terra che fosse loro familiare. La Carelia, in fin dei conti, era un po' quasi Finlandia...
Nelle principali comunità di "americani", a Petrozavodsk, Kondopoga e Prionezhsky, gli operai neo arrivati facevano lavori che ben conoscevano: con le attrezzature e i macchinari che si erano trascinati dietro attraverso l'Oceano, tagliavano alberi e bonificavano paludi, alle prese – di nuovo - con una lingua straniera, stavolta il russo. Poco male, perché erano convinti di mettere in piedi una nuova repubblica libera. E sovietica.


La "Piccola America" -
All'inizio degli Anni '30 i finlandesi arrivati da Oltreoceano avevano costruito una "cittadella americana", fatta di poche case, una mensa comune, un punto di incontro. Spendevano negli  Insnabe, negozi riservati ai tecnici stranieri, i soldi che avevano con sé, portavano cappotti, cappelli e tagli di capelli occidentali, e mangiavano ‘all'americana’.

Scrive Dagne Salo nelle sue memorie: "Parlano una lingua nuova, il "finglish", finlandese infarcito di parole inglesi. Dovreste sentirli! "Menemme, karalla raidemme dauntaunille". Capito? Roba così. Significa più o meno "Andiamo in centro in macchina", “car”, in inglese, “kara” in finglish...”
C’erano spettacoli teatrali e giornali in finlandese, la musica sinfonica e il jazz che Leopold Teplitski aveva studiato in America. Nelle vie e nei ristoranti della città si sentiva parlare in russo, finlandese, dialetto careliano e inglese (...)

Poi arrivò il 1933 e furono aboliti tutti i privilegi e le norme speciali per i neo trapiantati. Coscienti ormai della realtà che li circondava, i finlandesi-americani cominciarono a protestare; alcuni tra quelli che sentivano di essere stati doppiamente tratti in inganno, abbandonarono tutto e se ne andarono in Finlandia o in Nord America, portando con sé racconti sulle condizioni di vita disumane in Unione Sovietica così terribili da far cambiare idea anche a gente che si era già procurata il visto sovietico per l’emigrazione (...)
Molti, però, rimasero in Carelia, e per forza: non avevano più né mezzi né forze per affrontare un ulteriore viaggio alla ricerca di un a vita se non proprio migliore, almeno ‘normale’. Costretti quindi a restare, nonostante l'aperta ostilità della popolazione locale, e i loro figli cominciarono a frequentare le scuole sovietiche... Nel 1935 il flusso di immigrati dall'America settentrionale si interruppe. Il 1937 era sempre più vicino.

Niente lieto fine…
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Come molti altri, tra il 1937 e il '38 gli "americani di Carelia" finirono fucilati, accusati delle stesse cose: attività controrivoluzionaria, propaganda antisovietica, spionaggio, sabotaggio. Circa 800 le vittime documentate della repressione, anche se furono sicuramente più di mille. Tre quarti degli arrestati venivano fucilati. La stessa fine la fecero i tre leader dei Comitato per la Cooperazione tecnica del Nord America, arrivati in Unione Sovietica in pianta stabile negli Anni '30, Matti Tenkunen, Kalle Aronen e Oskar Korgan. La loro memoria si perpetua a  Sandarmokh, luogo di esecuzioni di massa nella regione di Medvezhegorsk. Là riposano anche altri 235   finlandesi che erano arrivati in Carelia da Stati Uniti e Canada. La figlia di Oskar Korgan, Mejmi Oskarovna Sevander, è stata una figura di rilievo nella pedagogia sovietica; all'inizio degli Anni '70 aveva fondato l'Istituto di Lingue Straniere di Petrozavodsk, che ha diretto per i vent'anni successivi. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita negli Stati Uniti, dove ha scritto alcuni saggi sulla tragedia dei finlandesi canadesi, che chiamava "il mio popolo".

Gli "Americani di Carelia", circa l'1% della popolazione, hanno portato un enorme contributo allo sviluppo economico, scientifico e culturale di quella repubblica sovietica. Ricercatori careliani, finlandesi, americani e canadesi hanno da tempo cominciato a scavare in quel periodo della storia russa e del mondo, per tenere viva la memoria di ciò che non si può dimenticare: il destino di gente forte, che per due volte nel corso della vita si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, costretta a compiere una tragica scelta, in condizioni che non davano loro alternative. ..