Somalia
una guerra dimenticata
dal corrispondente Rai a Nairobi Enzo Nucci
E’ ancora una volta la popolazione civile a pagare il prezzo più alto dello scontro che oppone in Somalia le forze militari del Governo Federale di Transizione (appoggiato dalla comunità internazionale) ai ribelli islamici radicali, legati ad Al Qaeda.
Dall’inizio di febbraio – secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite – sono più di ottomila i civili che hanno già lasciato Mogadiscio per sfuggire ai combattimenti che infuriano nella zona settentrionale della capitale. Molti si sarebbero diretti verso il corridoio di Afgooye, dove sono ammassati ben 366 mila profughi in campi privi di acqua, toilettes, e che neanche le organizzazioni internazionali riescono a sfamare per l’alto rischio nella distribuzione degli aiuti alimentari. Il corridoio di Afgooye si estende per 30 chilometri a est di Mogadiscio: qui c’è la maggior concentrazione di sfollati al mondo.
Più di 250 mila civili sono stati costretti a lasciare Mogadiscio da maggio scorso. In Somalia ci sono un milione e 400 mila sfollati interni mentre oltre 560 mila persone vivono come rifugiati negli stati africani confinanti.
L’Alto Commissariato dell’Onu si dice preoccupato per l’acuirsi della violenza ed ha rinnovato l’appello ai combattenti (sia governativi che i ribelli) a rispettare il diritto umanitario internazionale, violato sistematicamente ed all’origine delle fughe forzate.
Questa nuova ondata di violenza è stata causata dalla preparazione di una offensiva militare che le forze governative stanno preparando ammassando militari nella zona nord di Mogadiscio.
La risposta dei radicali islamici non è tardata con agguati ed attacchi che hanno causato decine di morte. Inoltre gli Shebab (il gruppo più estremista) ha lanciato un appello alla guerra totale contro il Governo di Transizione che “ha annunciato di lanciare con l’appoggio dell’Amisom (la forza di pace dell’Unione Africana) una offensiva contro gli Shebab ed i loro alleati di Hezb al-Islam”.
Il Governo di Transizione è nell’impossibilità di guidare il paese perché privo di una leadership riconosciuta dalla gente, dilaniato da guerre intestine che lo indeboliscono giorno per giorno. La sfida dei radicali si fa sempre più sfacciata con l’attacco diretto a ministri e componenti del governo. Per capire la totale mancanza di agibilità politica in Somalia, basti pensare che esiste sulla carta un parlamento che non si riunisce perché a Mogadiscio mancano le condizioni necessarie di sicurezza. La metà dei deputati – dice Muhammad Omar Talha, vice presidente dell’assemblea legislativa – vive all’estero per timore di essere uccisa. “Almeno 47 parlamentari hanno già chiesto asilo politico in Europa. Hanno lasciato la Somalia con la scusa di effettuare visite ufficiali chiedendo poi ospitalità una volta al sicuro” ha aggiunto Talha.
Il pericolo che il conflitto somalo possa espandersi nei paesi confinanti è alla base delle preoccupazioni del Kenya che smentisce di star preparando azioni militari contro gli Shebab, assicurando il proprio sostegno al governo somalo. Ma molti abitanti delle zone di confine tra i due paesi assicurano che i militari di Nairobi hanno rafforzato la loro presenza nell’area.
La Somalia resta uno dei principali problemi della politica internazionale. Dopo i “rischi” Iraq e Afghanistan, potrebbe imporsi all’attenzione del mondo la polveriera Somalia, dilaniata da 19 anni di guerra civile e dove l’unica alternativa al fallimento della comunità internazionale di trovare soluzioni politiche per arrivare alla pace sembra essere il successo dei radicali legati ad Al Qaeda.